L'importanza di fare le cose a cazzo di cane

Una delle conversazioni che vedo spuntare più spesso nei gruppi che frequento è quella dell’inutilità (o, a volte, della dannosità) dei cosiddetti corsi per GM. Dopo diverse iterazioni e dopo averne parlato con Moglie, che sta sanamente fuori dal nostro mondo ma una cosetta o due sul cervello umano la sa, mi sono trovato a dire che è importante fare un po’ di cose a cazzo di cane.

È un discorso lungo e complesso, che credo si articoli meglio sul blog che non sul sito. Quindi, diamo la parola al Maestro Ferretti e iniziamo.

Metto subito le mani avanti: non sto dicendo, né intendo dire, che le cose vadano fatte male sempre. Questa non è una scusa per non fare un cazzo al lavoro[1]. Il punto è che certe cose vale proprio la pena di farle in maniera non ottimale e non efficiente, per il semplice gusto di farle come piace a noi. Viviamo in una cultura che pone un fortissimo focus sulla performance come crescita personale, sul fare le cose costantemente meglio[2], sul miglioramento continuo. E spesso ci portiamo questa cultura addosso un po’ ovunque. Confrontiamo i nostri sforzi da hobbisti con quello che fanno i professionisti, dicendo che dovremmo diventare bravi come loro. Ovviamente, è molto difficile, se non impossibile, per me che passo 8 ore al giorno a scrivere codice diventare un cuoco tanto bravo quanto uno chef professionista, che passa altrettante (se non di più) ore ai fornelli. Posso impegnarmi quanto voglio, fare tutti i corsi che voglio, ma uno chef professionista prepara più filetti in una giornata di quanti non ne faccia io in un mese[3]. Non c’è gara.

La mentalità professionale, per cui si fanno corsi per imparare a fare le cose meglio e si punta a un miglioramento costante[4] funziona, al massimo, per il lavoro. Ovviamente, siccome il mio reddito dipende dalla mia abilità come programmatore, seguo corsi[5], quando riesco vado a conferenze e, in generale, cerco di diventare più bravo. Così a fine anno fiscale posso chiedere un aumento. Però tenere questa mentalità, quella che gli americani chiamano la “rat race”, tutto il tempo è deleterio. Fa male alla salute mentale, in primis, e fisica in secundis.

Gli hobby, quello che i romani chiamavano otium, hanno lo scopo di scaricare e ridurre la tensione e lo stress dati dal negotium, la vita professionale. Inciso, sapevate che in origine “business” voleva dire ansia?

Questo vale soprattutto per il gioco. Che sia di ruolo, da tavolo, dal vivo o quel che vi pare, giocare è un’attività che ci fa bene quando la facciamo per il gusto di farla. In alcuni casi può diventare un lavoro, ma spesso nel farlo cambia gli assunti di fondo e anche il metodo. E quando diventa un lavoro, tendenzialmente ti trovi un hobby diverso. Totti, nella sua villa a Roma, aveva un campo da tennis. Quando si gioca, si gioca.

Il tutto senza scoperchiare il vasto vaso di Pandora della differenza tra giocare di ruolo al tavolo, solo per le persone che stanno al tavolo, e il mettere in scena una specie di podcast con effetti sonori e montaggio ad uso e consumo di sconosciuti dall’altra parte dello schermo. Che è una differenza concettuale enorme - ma ci vuole un post completamente diverso.

Insomma, per citare il motto di Fallimento Assicurato, non smettete mai di giocare. Prendete il gioco come un gioco, non come un secondo lavoro[6]. Tenete vivo quel bambino interiore che si gode un mattino d’estate per il gusto di sentire l’aria in faccia e sapere che, tanto, tra dieci minuti si barricherà in casa con gli amici a giocare per ore e non vedrà più il mondo esterno fino al tramonto. E, se incontrate quel rompicazzo interiore che vi dice che non potete godervi le cose se non siete bravissimissimi e non diventate meglio degli altri, tenete a mente le immortali parole del mio primo allenatore di pallamano[7]: mani in faccia, ginocchia in pancia.


  1. In realtà parte di questa riflessione nasce da anni di lettura del mondo antilavorista, ma quella è una questione più ampia e comunque antilavorismo non significa non fare un cazzo al lavoro. ↩︎

  2. E magari monetizzare il fatto che le facciamo meglio di altri, ma ci torniamo dopo. ↩︎

  3. Il filetto non mi piace, quindi ne cucino esattamente 0 in un mese. Però credo che valga pure per i risotti, ne faccio comunque uno o due a settimana nei mesi buoni. ↩︎

  4. C’è, ovviamente, una parola giapponese che descrive questa cosa, ma io il giapponese non lo so quindi vi beccate la perifrasi in italiano. ↩︎

  5. Pagati dall’azienda, perché la formazione professionale è a carico del datore di lavoro. ↩︎

  6. E qui arriviamo al cuore del mio infinito discorso sul perché non monetizzo quello che faccio: per me anche scrivere giochi è un gioco ↩︎

  7. La pallamano è stata, per me, estremamente formante da questo punto di vista. Ho giocato per 4 anni senza mai vincere un cazzo. Una volta abbiamo pareggiato. Ma Dio se mi divertivo. ↩︎


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